L’ ISIS ESISTE ANCORA
Lunedì 28 giugno si è riunita la Coalizione anti – Daesh (questa terminologia è un acronimo usato dalla popolazione autoctona in maniera dispregiativa in quanto significa “calpestare-distruggere”), composta da alti rappresentanti dei maggiori attori in campo impegnati a contrastare il fenomeno.
Per quanto riguarda le conquiste territoriali del sedicente stato islamico possiamo tranquillamente dire che esso sia stato sconfitto (ufficialmente la data riportata è il 23 marzo 2018), ma pensare che il problema sia ricollegabile unicamente ad una condizione geografica è fuorviante ed errato.
Innanzitutto è importante ricordare che, anche all’epoca dei loro successi, gran parte delle alte sfere del Califfato erano di stanza in Libia e questo è facilmente riconducibile ai forti interessi economici: organizzare le esportazioni di petrolio e il traffico di migranti, quali risorse economiche atte a finanziare le loro attività criminose.
Nel corso delle interviste compiute da reporter e giornalisti è emerso con dirompenza un fatto di assoluta importanza: l’Isis non è morto e l’ideologia che ha sostenuto la formazione di questo “stato” si ripresenterà sotto altra forma, in un’altra zona geografica, forte di una nuova organizzazione.
Il proselitismo compiuto sulle maggiori piattaforme social non si è mai interrotto, molte cellule “dormienti” presenti in Siria ed Iraq non sono state neutralizzate, aspettano unicamente che il vuoto politico sia colmato per tornare con forza ad operare. Ovviamente tali cellule sono presenti in tutta Europa e questo breve “silenzio terroristico” è probabilmente dovuto ad una necessità riorganizzativa e non certo all’estirpazione della problematica.
Le testimonianze raccolte nei campi che accolgono gli sfollati dello Stato Islamico (i principali: Al-Hol e Roj Camp) raccontano una realtà devastante. Al loro interno, infatti, le ospiti donne sono ancora radicate nell’attesa di un ritorno. Sono presenti moltissime foreign fighters che continuano a rifiutare di tornare nelle loro terre d’orine (Europa, Nord America) perché convinte che il Califfato rinascerà. La maggior parte di loro sono diventate madri nel corso della loro militanza e le operatrici che si impegnano a prestare servizio nei campi raccontano di come i bambini di 4 o 5 anni siano stati a tal punto sopraffatti da un’educazione violenta da rifiutare anche un solo contatto fisico perché proposto da una miscredente.
È risaputo che le donne presenti nel campo continuino a mantenere legami con il mondo esterno per mezzo di telefoni introdotti impropriamente all’interno della struttura. Alcune testimonianze riportano come le detenute stesse siano in grado di creare raccolte fondi, coinvolgendo appoggi all’estero, al fine di scappare dai campi e ricongiungersi alle file dei terroristi.
Molti combattenti sono morti nell’ultimo periodo degli scontri, ma sarebbe sciocco pensare che i capi e gli ideologi non abbiano trovato riparo in territori “amici” prima che la situazione degenerasse.
L’intento della riunione in Italia è sicuramente un ottimo input per studiare strategie comuni e creare un reale canale affinché le notizie d’intelligence relative al caso in oggetto siano maggiormente condivisibili.
Ho il sospetto, però, che l’Occidente non abbia ben compreso quanti e quali luoghi siano delle reali “polveriere”: trattiamo politicamente e mediaticamente il tema dell’immigrazione senza renderci conto di come sia la punta di un iceberg che nasconde organizzazioni forti dislocate in varie zone dell’Africa.
Arianne Ghersi
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