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LA CRISI TRA SPAGNA E MAROCCO E’ SOLO LA PUNTA DELL’ ICEBERG

Il Fronte Polisario di Brahim Ghali, un movimento politico nato nel 1973 di ispirazione socialista, è stato costituito per perseguire l’indipendenza del Sahara Occidentale (i cui abitanti sono il popolo saharawi) dal Marocco, che lo occupa militarmente. Lo Stato marocchino è molto interessato a mantenere il silenzio su questa vicenda in quanto ne sfrutta, inizialmente senza averne titolo, oggi il riconoscimento è avvenuto, le risorse: petrolio, fosfati e pesca. Liberopensiero.eu ipotizza che l’80% del PIL marocchino derivi da queste appropriazioni indebite. Il popolo saharawi nasce dalla fusione tra le genti locali di lingua berbera e le tribù arabe Ma’qil che all’inizio dell’XI secolo invasero la parte settentrionale dell’Africa per raggiungere, verso il XIII secolo, il Sahara occidentale e la Mauritania. L’unione fra tribù arabe e berbere diede vita a un popolo musulmano, di lingua araba, con una tipica cultura tribale beduina, dedito alla pastorizia-nomade. I saharawi sono storicamente legittimati a ritenere che quella porzione di territorio gli appartenga e richiedono la formazione di uno stato indipendente dal 1966, ma ciò non è mai stato soddisfatto: prima dovettero fronteggiare l’occupazione spagnola e ad oggi si ritrovano con il 70% del loro territorio sotto il controllo militare del Marocco.

Nel 1976 fu creata la Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD) e da allora si parla di un referendum che dia la possibilità al popolo di esprimere la propria volontà autonomistica: siamo nel 2021 e nessuna data è stata ancora stabilita per questa consultazione popolare; ciò è dovuto anche alla posizione assunta dalla Francia che, essendo un solido partner di Rabat, ha sempre osteggiato il percorso democratico. Nel 1975 la Corte dell’Aia, su richiesta dell’Assemblea generale delle Nazioni unite, negò che il Marocco o la Mauritania avessero diritti territoriali sul Sahara Occidentale e confermò il diritto all’autodeterminazione di questo popolo. Il 5 agosto 1979 il Fronte Polisario firmò un trattato di pace con la Mauritania, che ritirò le truppe dal territorio occupato.

Il Marocco è sicuramente consapevole del possibile pericolo costituito dal Fronte Polisario e, proprio per contenerlo, ha fatto erigere un muro (il Berm): si estende per circa 2000 Km ed è stato disseminato di mine antiuomo. I frequenti incidenti dovuti ad esplosioni, con relative vittime, hanno fatto sì che il territorio fosse bonificato, ma ciò non è avvenuto nella sua interezza. Interessante sottolineare che un gruppo di volontari ha verificato e testimoniato come molte mine disinnescate riportassero il marchio “Made in Italy”. I conflitti legati a quanto appena descritto hanno trovato nuova linfa a novembre 2020. Dinamopress riporta la notizia secondo cui «l’8 novembre 2020, le forze dell’ordine marocchine smantellavano in maniera violenta l’accampamento di Gdeim Izik, composto da circa 6.500 tende allestite dalla popolazione saharawi un mese prima per protestare contro la marginalizzazione e le difficili condizioni socio-economiche nel Sahara occidentale controllato dal Marocco. Durante i violenti scontri avvenuti nelle operazioni di sgombero del campo e nel clima incandescente innescatosi anche nei giorni successivi nella limitrofa città di El Aaioun, hanno perso la vita 2 manifestanti e 11 membri delle forze dell’ordine marocchine».

Venerdì 13 novembre, nella zona di El Guerguerat, si è tenuto uno scontro a fuoco tra Fronte Polisario e Marocco. Le forze militari marocchine, in evidente violazione degli accordi in merito alla cessazione delle ostilità, hanno ripreso gli attacchi contro la popolazione civile saharawi che si trovava in prossimità del muro di demarcazione per manifestare ancora il proprio disagio. L’esercito di Liberazione popolare saharawi (Elps) ha attuato controffensive in varie zone del confine, sempre lungo il controverso muro che delimita i territori occupati illegalmente dal Marocco da quelli liberati della Rasd (Repubblica Democratica Araba dei saharawi). Giungono notizie dai campi profughi nell’area di Tindouf (Algeria) che descrivono come l’impotenza dei giovani li stia motivando ad arruolarsi nell’Elps, con la speranza di liberare la propria terra e ridare dignità al proprio popolo. Questa situazione sta gravando anche sui rapporti tra Algeria e Marocco. Si registra come l’esercito algerino stia eseguendo numerose esercitazioni guidate dal capo di stato maggiore, Said Chengriha, che ha rilasciato delle dichiarazioni a Algerie Patriottique in cui accusa il Marocco di aver violato gli accordi riguardanti il cessate il fuoco perché forti del supporto diplomatico di alcune potenze straniere (riferendosi in particolare alle monarchie del Golfo).

Chengriha ha affermato inoltre: «L’Algeria è il paese più potente della regione e in questi anni ha dimostrato di saper sconfiggere il colonialismo francese e la minaccia jihadista. Il nostro esercito è pronto a difendere i confini e gli interessi nazionali». Lo scorso 10 dicembre l’ormai ex presidente statunitense Donald Trump ha annunciato sui social network la normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Marocco e Israele, proclamando così che il Marocco sarebbe diventato il quarto paese arabo a riconoscere Israele dopo Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Sudan. Per incentivare il governo marocchino, Trump ha dovuto promettere di avallare la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale. La posizione assunta dagli Stati Uniti è una vittoria importante per il Marocco dato che, soprattutto in anni recenti, aveva cercato di legittimare le proprie istanze sul Sahara occidentale cercando di convincere altri paesi arabi ed africani ad aprire uffici di rappresentanza diplomatica nella regione non direttamente controllata dalle milizie del Fronte Polisario.

Inoltre, la decisione assunta da Trump ha esacerbato le frustrazioni del popolo saharawi, fomentando così ulteriori scontri in vista di una quasi impossibile risoluzione sul piano politico – internazionale. Il pericolo maggiore relativo a questa polveriera di interessi è che gli scontri potrebbero arrivare a coinvolgere concretamente l’Algeria, principale sostenitrice del Fronte Polisario. Più in generale, però, i dissidi potrebbero destabilizzare tutto il Nord Africa e l’Africa occidentale: la situazione è già complessa per quanto concerne la profonda instabilità della Libia ma, aspetto assolutamente da non sottovalutare, c’è il forte rischio concreto e direttamente osservato dai principali osservatori internazionali che i gruppi jihadisti osteggiati con forza dal Mali possano inserirsi in uno scacchiere ideale di incertezza e precarietà.

In passato il popolo saharawi è stato accusato di essere coinvolto in attività criminose come sequestri, spaccio, appoggio logistico a cellule di Al Qaeda del Maghreb e i più maliziosi ipotizzano un coinvolgimento nell’attività migratoria (un celebre testo li definisce “mercanti di uomini”).

Quanto descritto è l’antefatto ignorato e taciuto in tutta Europa. Conoscendo superficialmente la realtà saharawi sarebbe anche facile simpatizzare per questa fazione, ma è importante non dimenticare come un popolo sicuramente oppresso e dimenticato ha trovato in questi anni come “spalla” il mondo jihadista pronto a corteggiarli in chiave logistica.

Quanto avvenuto in Spagna a Ceuta e Melilla è un enorme campanello d’allarme: lo stato iberico si è offerto di prestare cure mediche specialistiche al capo del Fronte Polisario e ciò ha scatenato le ire della reggenza marocchina. L’improvviso sconfinamento di molti migranti che hanno passato la frontiera a nuoto con il benestare della regia polizia nord africana è stato un segnale, una presa di posizione scaltra ma incisiva.

Il Nord Africa, come ricordiamo sicuramente, è stato scosso dalle “Primavere arabe” e solo Egitto e Tunisia, paesi simbolo delle proteste, hanno riacquistato una normalità politica. Non possiamo dimenticare la Libia, divisa e lacerata e l’Algeria, sempre traballante politicamente dopo anni di guerra civile e il recente abbandono politico di Bouteflika. La monarchia marocchina non ha subito grandi contraccolpi dall’ondata delle proteste e si conferma, come gli Accordi di Abramo dimostrano, un interlocutore privilegiato della zona.

Auspico che l’immagine trasmessa dai tg nazionali, in cui un bambino in fasce viene soccorso in mare da un poliziotto della Guardia Civil, non oscuri ulteriormente questa polveriera: Muhammad VI ha lanciato un segnale all’Europa e mi auguro che ciò sia preludio di un concreto interessamento da parte degli attori internazionali. Il rischio reale è che la “prossima volta” non si parli di ciò come di un gioco di forza, ma come di una catastrofe umanitaria in “salsa” jihadista.

Arianne Ghersi

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