IL PAESE DEI CEDRI: UNA POLVERIERA
L’esplosione avvenuta al porto di Beirut il 4 agosto 2020 ha temporaneamente posto alla ribalta delle cronache internazionali il Libano. Con lo scorrere dei mesi però, il monitoraggio delle vicende interne al paese sembra essere carente e sporadico.
Una “semplice” esplosione potrebbe teoricamente derubricarsi in una “semplice” tragedia umana, ma le conseguenze hanno in realtà portato all’implosione della società libanese.
Innanzitutto è importante ricordare come le anime che compongono il tessuto sociale siano così diametralmente diverse da aver portato ad una spartizione del potere statuale in chiave confessionale. Infatti è previsto che il presidente sia un cristiano maronita, il primo ministro un musulmano sunnita ed il presidente del parlamento un musulmano sciita. Questo potrebbe sembrare il tentativo migliore per convergere in chiave democratica istanze diverse, ma non è difficile immaginare come una così saggia intuizione crei in realtà una forma di immobilismo e una sorta di protezione d’interessi per categoria. È importante non dimenticare la zona geografica in cui è situato il Libano, il cui paese confinante è la Siria e da cui proviene un’immigrazione fortissima.
La politica, che tenta ormai da mesi di attuare un risanamento della situazione economica, politica e sociale ha compiuto numerosi rimpasti cercando di creare un reale “governo di salvezza nazionale”, senza giungere a risultati soddisfacenti, nonostante gli appelli del Papa e le pressioni compiute dalla Francia affinché siano poste basi solide al risanamento politico-sociale-economico del paese. Giovedì 6 maggio Jean Yves Le-Drian, ministro degli Esteri francese, si è recato in Libano per esortare le autorità a porre fine al perdurante stallo politico.
Il governo provvisorio di Hassan Diab, sostenuto da Hezbollah, si è dimesso dopo l’esplosione ma ha continuato ad occuparsi della gestione ordinaria dello stato. Lo scorso ottobre, in seguito alle dimissioni di Diab, è subentrato Saad Hariri, che è stato designato premier dall’Assemblea nazionale libanese composta da 128 membri per un mandato di 4 anni. Il presidente libanese Michel Aoun e Saad Hariri non sono ancora riusciti a raggiungere un accordo su un nuovo governo, rimpallandosi la colpa per il ritardo.
Per comprendere quanto la situazione della popolazione sia invivibile bisogna considerare che il paese aveva, già prima dell’esplosione, un rapporto debito/PIL del 170% e, già allora, era incapace di ripagare 1,2 miliardi di dollari di obbligazioni in valuta estera. La guerra civile libanese (1975 – 1990) è memoria fresca e il conflitto risalente al 2006 tra Hezbollah e Israele ha condotto ad un’ulteriore perdita reputazionale.
L’unico modo per comprendere effettivamente la condizione del paese è considerare l’aspetto economico vissuto e subito dai cittadini. Attualmente le banche sono in affanno e i prelievi di ogni singolo individuo possono avvenire mensilmente. Se si possiede un conto con un deposito superiore a 100 mila dollari, si possono versare 2 mila dollari (7800000 LL) su un nuovo conto corrente (cambio a 1$ = 3900 LL). Il tasso di cambio applicato per prelevare la somma oggetto del giroconto è, però, 1$ = 13000 LL. Ne consegue che, a seguito di operazioni bancarie discutibili, il cittadino sia costretto a sopravvivere con 153,846$ al mese. Se non si dispone di una somma così ingente, si possono versare sul nuovo conto solo 500$ e quindi poter effettivamente prelevare 100$ al mese. Uno stipendio medio è di circa 500$ al mese, cambiati dallo stato a 750 mila LL. Si deduce che, per convenienza delle finanze pubbliche, le differenze valutarie non hanno apportato modifiche per ciò che concerne le entrate del cittadino. Per comprendere quanto incida ciò sulla normale gestione della vita familiare, basti pensare che 1 kg di riso, in precedenza, costava 2000 LL, mentre ora 27000 LL (2$).
Moltissimi libanesi residenti all’estero sono sicuramente angosciati da quanto sta avvenendo, ma la situazione legata alla pandemia crea loro una reale impossibilità di aiutare i propri cari. Affidarsi a forme regolari di passaggio di denaro è impossibile, perché le cifre prelevabili rimangono le medesime. I servizi di money transfer sono stati posti sotto il controllo dell’autorità centrale e l’impossibilità di viaggiare fa sì che non sia possibile per il singolo portare denaro contante alla famiglia. Quanto descritto è, a tutti gli effetti, il preludio di un’immane tragedia che colpisce trasversalmente tutta la società civile. Mi auguro di sbagliarmi, ma se non affrontata al più presto, la situazione può portare a nuove “esplosioni”, non certo di natura chimica, ma legate alle istanze della gente che si trova ad essere mortificata nella propria dignità e nella possibilità di vivere una vita decorosa.
Arianne Ghersi
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