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LE INTERVISTE TALEBANE: MICHELE ANTONELLI

Come sapranno i nostri lettori, Il Talebano, ha sviluppato un filone di interviste  volte ad affrontare con personalità diverse il concetto di neopatriotismo, ovvero la riscoperta del legame carnale con la terra collegato all’elaborazione di nuove categorie metapolitiche in grado di poter conservare valori eterni rispondendo alla inesorabile legge del mutamento. Potremo  dire usando le parole di Marco Gervasoni una rivoluzione nazional-conservatrice del XXI secolo. In questo lavoro abbiamo voluto dare voce ad autori per noi significativi il cui unico difetto è quello di non essere “mainstream”, ma che lavorano sul territorio con contributi importanti. Oggi è la volta dello scrittore identitario Michele Antonelli, autore di bellissimi testi.

Buongiorno Michele Antonelli benvenuti al Talebano. Lei è uno scrittore identitario vuole presentarsi ai nostri lettori?

Grazie a voi per avermi degnato della vostra attenzione. E grazie anche per il titolo di scrittore, un mestiere che mi sarebbe piaciuto esercitare sul serio, da giovane. Sono nato nel 1960, in un paesino sullo spartiacque dell’appennino abruzzese. Ho conseguito il diploma di geometra a L’Aquila e la laurea in informatica a Pisa, nel 1984. Negli anni dell’università mi interessai molto al teatro e feci parte di qualche compagnia dilettantistica. Subito dopo, prestai servizio militare come ufficiale di complemento. Parallelamente a ciò, quando potevo, in paese svolgevo tutte le attività tipiche delle piccole comunità rurali: agricoltura, allevamento, taglio dei boschi, edilizia. Nel 1987, partii per il Burkina Faso, come consulente della FAO, per pochi mesi. Quella prima missione fu particolarmente illuminante, cosicché decisi di continuare a viaggiare, con vari ruoli e varie organizzazioni. In tutto, ho lavorato in più di quaranta paesi, prevalentemente dell’Asia, dell’Europa dell’Est e dell’Africa. Molto significative sono state le esperienze nei paesi della ex Jugoslavia, negli anni del conflitto, e quelle in Afghanistan, paese nel quale il conflitto non finisce mai. Ciò che ho visto in Bosnia e in Kosovo, in particolare come i media sono utilizzati per seminare ed alimentare l’odio “etnico”, nonché per raccontarne gli effetti, mi ha spinto a raccontare la mia versione dei fatti, che ho riassunto in un libro. La comprensione dei meccanismi di manipolazione dell’opinione pubblica mi ha portato a studiare l’uso dei media per trasformare la mentalità degli italiani, fino a programmarne il processo di estinzione attualmente in corso. Anche su un aspetto specifico di quell’operazione mediatica, comunemente identificata nella rivoluzione culturale del ‘68, ho prodotto un libro.

Queste concise notizie biografiche sono importanti per evidenziare il radicamento di vecchia data in una comunità rurale e l’esperienza in paesi dalla cultura diversa dalla mia, a volte tendenti ai valori tradizionali, a volte in fase di piena modernizzazione. Questa possibilità di immergermi in modelli sociali così diversi mi ha portato istintivamente a fare dei confronti. Così, ritenendo che sarebbe un vero spreco restare in silenzio dopo aver osservato tanto, nell’ultimo ventennio ho organizzato circa centoottanta piccole conferenze, allo scopo di richiamare l’attenzione su alcune alterazioni degli equilibri sociali che mi appaiono molto pericolose. Inoltre, per dimostrare la differenza tra “il vecchio” e “il nuovo”, mi sono dedicato a ritrarre le comunità tradizionali del mio territorio, a “mappare” le loro credenze, la loro dottrina e la loro mitologia, indicando come queste si sono trasformate nel tempo.

Lei ha scritto il libro ”Era saggia la mia terra. Oltre duemila proverbi dall’ Appennino sabino-abruzzese. Analisi dell’etica popolare e della sua mutazione” dove coglie un punto importante per noi neopatrioti: nel passaggio dalla Comunità alla Società intesa secondo Tonnies vi è è stato una perdita dei valori importanti dell’uomo. Vuole esporre questo concetto?

La maggioranza ha subito perdite enormi, sotto molti punti di vista. Sul piano religioso, i ministri del culto hanno preso ad echeggiare i pensieri di una élite che dimostra sempre di più la sua inimicizia verso le classi popolari, motivo per cui la gente si è allontanata dalle istituzioni ecclesiastiche, perdendo vari benefici: una mitologia agiografica pervasiva, che instillava nell’infanzia e nella gioventù dei comportamenti virtuosi, cioè giovevoli alla comunità; un insegnamento dottrinale che era fondamentale per dare un senso alla vita e per consentire la convivenza e la cooperazione; una ritualità catartica, capace di sciogliere le tensioni e di disporre gli spiriti alla benevolenza. Sul piano della sicurezza fisica, da membri di aggregazioni compatte e strutturate, coabitanti, comunicanti e solidali, capaci di difendersi, siamo diventati esseri isolati, terrorizzabili dal bombardamento dei mezzi di informazione, abusabili da forze dell’ordine asservite a una tirannia, nonché da formazioni criminali consentite o addirittura protette dal potere. Sul piano economico, gradualmente, l’integrazione all’interno della famiglia, del villaggio e della città ha ceduto il posto all’accumulazione individualistica. In un periodo di crescita economica, ciò ha inalberato molti spiriti, sempre più fiduciosi nei loro conti bancari. Ma ora stiamo assistendo  a un calo dei salari, a un aumento delle tasse e a una disoccupazione indotta anche da una sorta di disperazione imprenditoriale, tale per cui lo schiavo giunto da lontano è diventato un salariato preferibile al consanguineo abituato a un trattamento umano.  Per non parlare dei nuovi aguzzini, così bravi a ricattare chi non può permettersi di perdere il lavoro! In queste condizioni, l’individualismo economico costituisce un terrore in più, che sta dando il colpo di grazia a una situazione demografica già compromessa dall’abolizione di strutture famigliari consolidate nei secoli, rimpiazzate dalle volatili soluzioni suggerite da Hollywood. Naturalmente, ciò che è stato perso dalla maggioranza non è andato certo sprecato; è stato bensì incamerato, principalmente, dai grandi potentati finanziari internazionali, ma anche, in misura minore, da una minoranza nostrana, tutta presa da collezioni di ville, appartamenti, macchinoni, vacanze da far crepare d’invidia il vicinato ed altre finezze del vivere contemporaneo.

È molto interessante l’operazione culturale che ha pilotato questo radicale cambiamento di mentalità – tutta la cinematografia, i programmi televisivi e i libri che ci hanno “rivoltato il cervello” – che dimostra come siano le idee, diffuse talvolta in modo subliminale, impercettibile, a determinare l’andamento delle aggregazioni umane.

Se me lo permette, vorrei riassumere il lato psicologico del suddetto processo in una metrica tipica del “vecchio mondo”, ancora in uso dalle mie parti. Il titolo si rifà ad un concetto caro a Max Weber.

Ascesi intramondana

Non fu avarizia, neppure albagia,

che ci spinse all’accumulo smodato,

bensì un moto sublime, appassionato,

un’estatica, urgente frenesia.

Subimmo di noi stessi la malia,

ci proiettammo in un eccelso stato

e iniziammo un conteggio interminato

che, a poco a poco, ci trascinò via.

E, accumulando rendite e denari,

noi lievitammo tanto di livello

da non supporre al mondo i nostri pari.

Così, chiusi al vicino ed al fratello,

simili in tutto a vermi solitari,

godiamo in proprio, ognuno al suo budello.

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