INTERVISTE TALEBANE: WALTER DI GEMMA
Come sapranno i nostri lettori all’interno del neologismo “identitarismo” esistono varie correnti di pensiero. A cavallo del XX e XXI secolo, l’indipendentismo padano e il movimento neoborbonico hanno rivalutato un concetto di patria carnale e di identità popolare legata ad usi e costumi di una regione. Parallelamente a queste correnti politiche, troviamo nuovi sviluppi nell’ambito della tradizionale localismo culturale. Un interessante esempio è la figura di Walter Di Gemma erede nel XXI secolo della tradizione musicale meneghina, uomo di spettacolo innamorato di Milano. Abbiamo qui pensato di confrontarci con la sua esperienza
Buongiorno Walter Di Gemma grazie per aver accettato questa intervista. Noi apprezziamo molto il suo ruolo di difensore della milanesità. Ci può raccontare la sua esperienza del rapporto di amore per Milano e per le sue tradizioni?
Grazie a voi per l’apprezzamento e la fiducia. Devo dire che il mio amore per Milano è nato sin da piccolo ed è diventato, come credo ogni amore degno di questo nome, sempre più importante e viscerale. Inizialmente la passione per questa città è nata grazie alla sua dinamicità, al suo correre sempre e comunque. Da ragazzino ricordo che ogni uscita per Milano la avvertivo quasi come un salto su un treno in corsa, alla ricerca del fare qualcosa di importante, anche se non sapevo ancora cosa. Mi ha sempre dato questo spirito di avventura. La sensazione più strana però mi è arrivata un giorno in cui mi sono fermato, era agosto di molti anni fa, quando me la sono girata in lungo e in largo. E’ da quel momento che l’ho scoperta davvero, gustando appieno i particolari delle sue vie, delle sue piazze, e poi i monumenti, i cortili. Ricordo ancora molti anni prima la prima volta che ho visto il Duomo; era inverno, una scultura di marmo rosa in mezzo alla neve; facile in quel momento associarla alle fiabe che mi avevano sempre affascinato, e quella fiaba era lì, davanti a me, che naturalmente mi ha lasciato senza fiato. Via via poi, scoprendo le canzoni popolari attraverso la radio e i dischi, ho scoperto la sua storia, le sue tradizioni, i suoi mestieri, e l’amore continua ancora oggi.
Il nostro think tank pensa che in questo mondo globalizzato il radicamento locale non è un optional o una mera chiusura xenofoba ma al contrario una risorsa fondamentale. Proprio il suo oblio è alla base del periodo problematico. Cosa si sente di dire ai troppi milanesi che si dimenticano delle radici del posto in cui vivono?
Credo che la cultura sia la nostra principale risorsa. Ogni popolo che si rispetti ama e difende la propria identità, col desiderio che tutti gli altri la rispettino. Io ho sempre amato le diverse culture dei popoli, che tra loro possono e si sono anche incrociate e mischiate nella storia. Le lingue sono la testimonianza di quanto le radici di ognuno si siano arricchite a vicenda. Molte tradizioni, a volte senza saperlo, le ritroviamo simili o in comune, proprio come certe parole che scopriamo avere origini che nemmeno immaginavamo. Chi legge questa naturale caratteristica di ogni popolo, ovvero la sua legittima ed importante difesa culturale e identitaria, come una mera chiusura xenofoba, non credo abbia onestamente compreso il discorso. Probabilmente gli fa comodo pensarla così per questioni ideologiche, o ancor peggio per etichettare un nemico da combattere. Io so solo che quando mi è capitato di chiedere a persone di altri paesi e culture come considerassero la loro identità, mi hanno sempre risposto quanto fosse per loro importante appartenere alla cultura di origine (pur essendo disposti a conoscere apertamente tutte le altre), il sentirsi radicati, riconosciuti e considerati.
Ogni popolo raccoglie il frutto di conquiste, di lotte, di sofferenze, troppo spesso conseguenze di guerre in cui si voleva sottomettere le minoranze o conquistare intere popolazioni, imponendo usi, costumi e lingua dei vincitori. Alla base di tutto sono indispensabili il rispetto e l’intelligenza, elementi che da soli basterebbero ad affermare il diritto alla sopravvivenza di ogni popolo. La nota dolente è che, per quanto riguarda Milano, molti milanesi non ritengono importante la sopravvivenza della cultura e della lingua milanese. A parole la sostengono, dichiarando anche che a loro modo di vedere, la nostra lingua milanese e la sua cultura sono destinate a sparire. Questo non è un bell’atteggiamento, perché descrive in anticipo uno stato d’animo di sconfitta e di rassegnazione. Io non mi arrendo. Ho amato e amo tanto questa città che continuerò a raccontarla, ad esaltarla, a scovarne i difetti (con la speranza di un risveglio collettivo e correttivo) e a considerarla la mia patria, la mia Milano, la mia lingua, la mia identità, la mia storia. Come diceva Totò: la mia lingua è il napoletano. Io mi sento di dire: la mia lingua del cuore è il meneghino.
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