Ultime notizie

AFRICA ADDIO – secondo tempo

Italian volunteer aid worker Silvia Costanza Romano, who was kidnapped in Kenya in late 2018, wearing a khimar and face mask, waves upon her arrival at Romes military Ciampino airport on May 11, 2020, following her release. - Silvia Romano was 23 and working as a volunteer in the orphanage in Chakama village in southeast Kenya when she was seized by gunmen in November 2018. (Photo by FABIO FRUSTACI / ANSA / AFP) / Italy OUT / ITALY OUT (Photo by FABIO FRUSTACI/ANSA/AFP via Getty Images)

Si sta discutendo, in questi primissimi giorni dopo la soluzione dell’Affaire Silvia/Aisha (così si fa chiamare) , di comportamenti e dichiarazioni attribuite, immediatamente, alla famosa Sindrome di Stoccolma di cui la ragazza sarebbe vittima.
Qui entriamo in un capitolo della vicenda che si sta avvicinando a livelli non più di mera polemica fine a sé stessa o di istintiva antipatia da parte di alcuni contro questa ragazzina per il mondo che rappresenta, ma di casus politico se non legale con effetti che sarebbero spiacevoli se la ragazza in questione fosse cittadina non di questa Repubblica ma di una nazione diversa anche del mondo occidentale.
Forse non basta la Sindrome di Stoccolma quanto, piuttosto, un corto circuito culturale e mentale di una persona aprioristicamente confusa, verrebbe da dire per spiegare ciò cui stiamo assistendo.
Altri tipi di prigionieri provarono ad ingraziarsi i loro carcerieri per motivi materiali e di convenienza ma non mai abbracciando idee e religioni contrarie alle proprie.
In questo caso, invece, siamo in presenza di elementi che porterebbero addirittura ad una pretesa inculturazione con l’ambiente dei rapitori come avvenne, caso ai confini del romanzesco noir, con l’ereditiera Patty Hearst nel ’74, quando divenne parte dello strampalato Esercito di Liberazione Simbionese.
L’esempio sembra assurdo ma non ci distanziamo più di tanto dalla realtà.
Questa ragazza, al di là di tutto, ha qualcosa da spiegare ed in questo caso sembra che sia stata sentita da organi inquirenti e dal Ros, come da prassi per chiunque, chiariamolo.
Ma questa ragazza, oramai atterrata da due giorni e ricevuta dalle massime autorità dello Stato Italiano, continua ad andare in giro con una tenuta che è stata riconosciuta come una vera divisa politica del movimento degli Al Shabaab, quella sorta di telone verde mare che identifica non le donne somale o del Corno d’Africa ma le attiviste o le schiave del movimento armato di quell’area geografica.
Si passa quindi da una forma di innocente, forse, travestimento etnico ad una vera e propria casacca di riconoscimento.

Ora è evidente che qualcosa stride per come si stia comportando questa persona ma inizia ad essere evidente anche l’atteggiamento, absit iniuria verbis, di tipo stagnante del nostro apparato istituzionale che ha gestito tutta questa vicenda in un modo ben oltre i tipici vizi di una nazione che ha smarrito la bussola della “dignitas” di Sé medesima.
La ragazza, ancora in volo da Nairobi all’Italia, ha fatto sapere di non volere assolutamente cambiarsi d’abito e di essere convinta della sua scelta esteriore per motivi religiosi, acquisiti nel corso della sua prigionia, avendo dialogato con dei miliziani tra cui una persona in specifico.
Ora le cose sono due: questa persona non sta bene e quindi va tutelata per cui non è pensabile che sia lasciata in piena autonomia delle sue azioni, altrimenti se le fosse stato insegnato di essere Puffetta Regina dei Puffi o una sacerdotessa del Voudoo africano costei sarebbe vestita in guisa da interpretare questi personaggi e ciò non ha senso manco in un Ospedale Psichiatrico.
Seconda ipotesi, questa persona è in una fase di forte convinzione per ciò che ha vissuto, di cui non sono chiari i confini sul piano esperienziale peraltro lungo un periodo non breve, ed allora ci sta che sia scossa o psicologicamente vittima ma un organo dello Stato non permette per alcuna ragione di indossare una tenuta che rammenta una militanza terroristica, peraltro su mezzi e veicoli dello Stato relativi alla massima istituzione di sicurezza da esso deputata, l’AISE della Presidenza del Consiglio di Ministri, peraltro venendo ricevuta con tutti gli onori dalle predette istituzioni.
Aggiungiamo una terza Ipotesi, la peggiore: nessuno ha capito cosa rappresentasse quella tenuta e quindi vuol dire che la politica non ha cognizione o che tecnici ed esperti che sicuramente sanno bene questi dettagli di cui stiamo discettando, non ritengono di rivendicare quel minimo di autonomia di ruolo di fronte ad una classe politica totalmente imbelle ed alienata davanti a tematiche così delicate, eppur convinta beatamente di gestire anche dettagli che, in tempi passati, venivano lasciati ai competenti del settore Sicurezza.
In altre parole : “volevate il pacco, ve lo abbiamo consegnato, fate vobis”. Una volta i sequestrati comparivano davanti alle telecamere con giubba e cappello della forza dell’ordine che li prendeva in consegna, non era solo un vezzo ma forse un sigillo preventivo. Le vecchie abitudini che ci siamo dimenticati.


Altro capitolo, oramai scontato, il dato che per liberare questa persona, anzi per farsela riconsegnare, sia intervenuta una trattativa gestita da nostri specialisti oramai molto periziati in queste crisi e sicuramente parte di un apparato valido e capace ma che viene utilizzato, in modo abitudinario, a guisa di mediatori civili che debbono decidere quanto elargire a queste bande per stornare dalla vittima minacce fisiche, forse anche per stabilire accordi inconfessabili con aree infette del III Mondo dove avvengono questi episodi.
IN questo caso non solo erogando fondi ad una organizzazione di fuorilegge ma andando a impelagarsi con una diplomazia molto delicata di favori con le autorità turche le quali, oramai appare evidente dalle ultime informazioni diffuse dall’agenzia giornalistica turca Anadolu, hanno costituito la base della riconsegna fisica della ragazza, molto probabilmente presa in carico da loro prima che dagli stessi nostri funzionari AISE.
Foto scattate in un’auto probabilmente del MIT turco confermerebbero questa tesi.
Quindi stiamo parlando di una operazione molto complicata, sicuramente macchinosa e quindi meritevole di massima attenzione e laboriosa ma i cui effetti mediatici sono totalmente sfuggiti di mano nel disinteresse della politica italiana la quale non dimostra più alcun senso dell’onore nazionale in questi frangenti, da molti anni in qua ma con un’accelerazione in picchiata dai fatti di Carola Rackete l’Agosto del 2019, a dare un’ulteriore tappa di discesa.

La qual cosa, ci sia permesso di farlo presente, non è più tollerabile e non solo per un’immagine di ridicolaggine e debolezza cui l’Italia è esposta ma anche per via del rischio di innescare una continua serie di sequestri da parte di qualsiasi gruppo di pirati o criminali sbandati o, anche, di movimenti armati di diverse matrici.
Spendere milioni, si parla di cifre da uno e mezzo a quattro, per una persona che probabilmente non ha avuto alcun interesse (lei ma più facilmente la sua dirigenza che l’ha spedita in quella zona) a valutare la pericolosità dell’area in cui si recava, è diventato un vizio che lo Stato italiano non può ammettere sul piano anche morale.
Non è più pensabile che lo Stato si scontri con la filosofia della non responsabilità per una sorta di guarentigie ideologica cui determinati ambienti sono perennemente destinatari per chissà quale Grazia Divina.
Si studino delle formule, per chiunque abbia questi ideali di assistenza e soccorso in nazioni a rischio o aree pericolose, per sostenere eventuali costi di crisi, si tratti di una assicurazione come per chi si rechi a fare il contractor o il camionista di autobotti di petrolio in Irak, oppure che si inizi a responsabilizzare i governi che desiderino questo tipo di presenza nei loro territori per ragioni umanitarie, a partecipare alle spese di gestione di queste crisi, a latere l’idea che forse si potrebbe anche provare a prevenire queste situazioni opponendo un deterrente militare che da troppi anni ci siamo dimenticati di teorizzare anche solo in via di principio, a fronte di azioni criminose contro i nostri cittadini, chiunque essi siano e va chiarito per non cadere in parzialità ideologiche assolutamente fuori luogo.

Stefano Cordari

1 Comment on AFRICA ADDIO – secondo tempo

  1. Sono sostanzialmente d’accordo con quanto detto da Cordari, ma sono convinto che sia completamente inutile aspettarsi rivelazioni VERE. Questa storia è molto strana, la ragazza ritorna a casa dopo 18 mesi con un viso molto più sereno di noi italiani che in questi mesi stiamo affrontando il covid19, pesa il doppio di quando è partita, chi è la sorella di Rambo? Poi quel suo fare irrispettoso nei confronti di un paese che ha sborsato parecchi soldi per liberarla, mi ha dato molto fastidio. Quel telone verde DOVEVA toglierselo. Non sapremo mai la verità perché se venisse fuori, sia il Governo che la ragazza farebbero una bella figura di merda.

Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: