È GRATIS ED È MEGLIO DELLO PSICOLOGO: IL PRETE
E poi ha anche quel vantaggio che guarda alla tua anima e non alla tua psiche
Una delle tante convinzioni tipiche del nostro secolo è che l’anima possa essere trattata come la psiche, o viceversa. In altre parole, siamo convinti che una seduta di psicoterapia abbia la stessa forza metafisica di una preghiera o di una pratica ascetica.
Come giustamente segnalava René Guénon in uno dei suoi celebri scritti, Il regno della quantità e i segni dei tempi, la psicoterapia, o, per meglio dire, gli studi attorno alla psiche evocano forze negative.
Quando il paziente si siede per “confessarsi”, attua un procedimento di evocazione di ricordi, siano essi negativi o positivi, che generano in esso passioni violente. La psicologia come vediamo, studia quindi quelle “forme”, come ci ricordano diversi studiosi della tradizione, che si manifestano in gioie e dolori che ancora toccano l’individuale.
La spiritualità, come sappiamo, abbraccia invece una dimensione diversa, in cui l’individuale si perde nel sovraindividuale, con il quale ha in comune il “sé” più profondo. Il “sé” è dunque quella parte dell’individuo che non presenta individualità né emozioni. La confusione tra il sensibile ed il soprasensibile è tutta del nostro secolo, in cui manifestazioni sensoriali vengono scambiate per manifestazioni spirituali. Come ci suggerisce anche Platone nel Simposio, “lo spirito è muto”, nel senso che non presenta atteggiamenti e forze tipicamente materiali (ylica, nel senso aristotelico) quali sono le emozioni succitate. Ricordiamo, però, che la psicologia, in quanto studiosa delle forme, non ha una valenza esclusivamente negativa, ma la assume quando pretende di discutere la natura profonda dell’essere umano. L’utilizzo di parole come “pattern” per dare una definizione a un atteggiamento comune ad alcuni individui, non è altro che uno dei tanti tentativi volti alla negazione della specificità (una ricorsività non implica un’uguaglianza). L’essenza individuale, che, ricordiamo, non ha carattere animico nel senso platonico del termine, valica il confine della forma.
La reiterazione di un aspetto formale non incide sull’essenzialità. Questo tipo di fraintendimento nasce con Jung, il quale, nel Libro Rosso, dichiara intenzionalmente di voler dare una “spiritualità” a una materia trattata esclusivamente da un profilo scientifico . Sono celebri le notti insonni dello psichiatra attentato dalle “ombre”- le presenze infere da lui stesso ricercate, che lo portarono a possedere armi nel cassetto.
Questo tipo di errore, che sarebbe ancora innocuo se relegato in degli studi di psichiatria, si riverbera pesantemente anche nel mondo del sociale e della politica. In diritto, l’art 30 Cost. parla di parificazione in forma e sostanza di entrambi i coniugi, affermando in primis una tautologia e negando poi una realtà di fatto quale la differenza tra gli esseri. Sulla base dell’equivalenza (peraltro già nota in ambito filosofico) tra forma e sostanza di cui l’una è un aspetto dell’altra, si giustifica il criterio di uguaglianza civile. La nostra si può quindi definire una società “psichica”, proprio per gli errori di cui alla base, in cui le manifestazioni dell’Io vengono confuse con forme indisciplinate da correggere. Osserviamo il caso di un Goya con una natura d’artista che dipinga le pareti di casa sua. L’approccio terapico sarebbe propenso a “risolvere” l’irrequietezza del soggetto. Visto da una prospettiva diversa – ossia spirituale – non avremmo difficoltà ad accettare la “natura” di questo individuo particolare che, evidentemente, si manifesta in questo modo specifico. Non si tratta di accettare semplicemente, ma di riconoscere un comportamento che, limitato in una delle forme predefinite, avrebbe valenza costrittiva nei confronti dell’individuo. La società di oggi, permissiva nei confronti di temi caldi come l’omosessualità e il multirazzialismo (verso i quali c’è un “cattivo naturismo”) rigetta invece chi proprio a queste problematiche vuole contrapporsi. La psicologia quindi rifiuta di trattare forme (quali sono certe tendenze odierne), preoccupandosi invece di giudicare l’io di chi – poiché in disaccordo – è reputato malato dai malati. Il malanno di una società decadente come la nostra, è tale da non riconoscere più la sanità nei soggetti altri rispetto ai copioni scritti di normalità. Richiamando la “ribellione” di Huxley, il ribelle che sceglie l’infelicità è dunque anche malato perché rifiuta un copione in cui tutto sembrerebbe già compreso, eccetto ciò che è al di fuori di esso. Legittime richieste come quella di vivere in un mondo in cui ci sia rispetto anche per ciò che noi chiamiamo tradizionale, ed altri semplicemente “convenzionale”, sembrano portarci verso il criminoso, o l’assurdo da isolamento.
Davide Dato
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