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LA MONARCHIA TRADIZIONALE

Ecco a voi Francesco Maria de Tejada

Consideriamo utile ripartire da una figura a molti sicuramente nota, di primissimo piano nel pantheon dei pensatori di riferimento di chi vorrebbe ripensare il mondo ispirandosi ai valori della Tradizione, che è nostro sangue spirituale e che è prova della bontà e della coerenza interna di ogni azione. Ciò ci permette di mantenerci allacciati di alcune delle idee nodali che ci ha lasciato in eredità la riflessione del filosofo e cattedratico spagnolo Francisco Elias de Tejada (Madrid, 1917 – 1978). L’autore di “La Monarchia Tradizionale (ed. Controcorrente, 2001 ) raffinata e e profonda analisi storico-antropologica attorno ai concetti di tradizione e uomo della tradizione.

De Tejada nulla inventa, ma si fa interprete di qualcosa già e a priori, giacche “la tradizione non si può inventare, si può solamente trasmettere”.Di qui la validità del suo lavoro, nel quale ritroviamo tracce ed indicazioni fondamentali per l’uomo di eredità europea sia per il suo ufficio nel mondo, e quindi della propria universalità, sia per la riflessione strettamente politica e quindi realizzante nel mondo.

Filosofo carlista e cattolico è stato introdotto in Italia alla fine degli anni ‘60 da Silvio Vitale (Napoli 1928-2005) fondatore dell’Alfiere, rivista tradizionalista napoletana che tra gli altri riscopre Alianello, Giacinto de Sivio e Buttà, e che piccolo scrigno conserverà il fuoco per esperienze editoriali più ampie in epoca successiva e di più diffusa coscienza, quelle de il Cerchio di Rimini o dei partenopei di Controcorrente solo per citare le più note.

Animò nella destra italiana, ancora fortemente radicata all’idea-forza della nazionalità, uno spirito critico che spingesse a ricercare la patria oltre la contingenza storica dello stato nazionale, vedendo piuttosto in esso il frutto e il contenitore istituzionale meglio atto alla realizzazione dell’ideale ugualitario giacobino (e possiamo aggiungere, con il senno del poi, proto-mondialista): uno stato unico, una lingua unica, una bandiera unica, una moneta unica, e poi, passando attraverso un’uniformazione degli espressioni dell’umano (stile,sessualità, desideri ect), in un’ottica sincretica, a un’unica (non) religione.

E dopo la nazione, ultimo momento di una fase ancora identitaria, un (super) stato mondiale idolatrato con forza, diremmo noi, quasi eteronomica (vedi esperimento di Milgram) attraverso la quale la persona, o i gruppi, vedi i partiti, non agiscono più secondo coscienza (propri dell’homo religiusus) poiché non si considerano più liberi di condotta autonoma ma secondo imperativo di sistema (condizione dell’uomo massa, dei partiti, dei governi,nei sistemi moderni).

La religione staccata dall’uomo, diventa fanatismo, l’arte produttivismo, l’amore prostituzione. Ogni reductio ad unum diventa prima o poi reductio ad nihilum. E’ cosi, che per de Tejada, patria diventa idolatria nazionalista e l’uguaglianza e la libertà giacobine diventano totalitarismo. Nella riflessione sulla patria de Tejada rappresenta la soluzione tra l’etnoidentitarismo e il federalismo imperiale per dirla con Evola. Per l’autore la patria è realtà naturale, concreta, fatta di legami, in quanto nessun uomo nasce senza antenati.

È un comunitarista ante litteram , ed un acuto difensore del principio di sussidiarietà, se scrive: “ ..le funzioni politiche dello stato sono state molte volte assunte pienamente dalle entità sociali (dai municipi, dalle corporazioni,dalle confraternite,dalle famiglie, dai vicinati, dai differenti corpi intermedi che componevano la società e che assicuravano alla persona appoggio e soccorso n.d.r), mentre al contrario, lo stato non ha mai assunto pienamente le funzioni che competono alle entità sociali.(… )lo stato al contrario appare in un momento posteriore”.

De Tejada filosofo vede l’uomo in relazione con Dio,con gli altri uomini e con la sua storia (tradizione) in una dimensione sensitiva e temporale triplice, perciò veramente volumetrica nel tempo e nello spazio.

Revisionista antigiacobino de Tejada individua nell’Illuminismo il pensiero che come un grimaldello scardina l’ordine tradizionale. “l’ottimismo antropologico unisce rousseau con kant e con i legislatori dell’89. Rousseau idealizza fino alla perfezione l’uomo astratto, il selvaggio privo di tradizioni, per definizione buono; kant esalta la perfezione dell’uomo in sé, indipendentemente dalle tradizioni culturali, ritenendolo idoneo a comprendere il cosmo dall’uso che dei dati della realtà faccia la sua ragione pura e a sapere che cosa sia la giustizia nella semplice autonomia della sua volontà; gli uomini dell’89 non dichiarano quali siano i diritti dell’uomo francese ma quelli dell’uomo astratto e senza tradizioni“.

Il de Tejada fa professione di carlismo, l’esperienza monarchica spagnola, erede attraverso il ramo asburgico e soprattutto attraverso il cattolicesimo politico, del Sacro Romano Impero, come garante delle liberta forali. Una pluralità di ordinamenti, privilegi, immunità, che la monarchia garantiva alle differenti realtà locali, diremmo oggi (pensiamo ai comuni di esperienza medioevale). A tal riguardo scrive:“i fueros (le concessioni alle comunità locali) presuppongono, primo l’ idea dell’ uomo come essere concreto, secondo che la libertà, ovvero la sfera delle possibilità di ogni uomo di ogni uomo secondo il suo diritto, si inquadrano in ciascun popolo negli ordinamenti legali e sociali prodotti dalla rispettiva tradizione particolare, terzo che nella lotta libertà- uguaglianza, che corrode il pensiero rivoluzionario, è necessario affermare la supremazia della libertà, quarto che contro la libertà astratta della rivoluzione sono preferibili i sistemi di libertà concrete delle varie tradizioni. on la nascita degli stati moderi, basati sul centralismo, le libertà concrete non vennero più riconosciute a favore delle libertà astratte dell’individuo isolato a una dimensione.”

Succede che, nel passaggio tra uomo ad individuo, nel passaggio tra comunità a società, l’individuo sradicato, atomizzato socialmente, diventa, nella corsa darwiniana tutta mercantile fomentata dal nuovo padrone mondiale, onnipresente quanto evanescente, pervasivo quanto dispotico, diventa, vittima e nel contempo lupo per gli altri uomini.

Scrivono M. Guidetti e P.H Stahl nella loro introduzione a “Il Sangue e la Terra” –Comunità di villaggio e comunità familiari nell’Europa dell’800– ed. Jaca 1976 a proposito della mentalità dei moderni. “Formati nelle scuole dove dominava l antico diritto romani, gli studiosi credevano alla proprietà individuale. Vivendo nelle città dove la vita sociale stessa riposava su questo diritto, gli studiosi occidentali ebbero la sorpresa di trovare nei villaggi dei loro paesi realtà completamente diverse”. Questa, che potrebbe sembrare una digressione, ci pare invece la prova che le comunità, o corpi intermedi, percepiti dalla scienza moderna come sistemi esclusivamente di proprietà erano invece sistemi di vita comunitario.

Ad ognuno dei lettori il compito di riscoprire la propria tradizione particolare e la forma di trovargli spazio nelle presenti congiunture, ed ai governi ed al diritto l’onere di difenderla. Facciamo,infatti, nostro un proverbio degli slavi del sud, che ci pare pertinente e che riassume lo stato ed il destino schiavo dell’uomo isolato. Esso recita:”chi non riconosce il fratello per fratello riconosce lo straniero per padrone”, indicando tra i vari stranieri oppressori, la competizione globale e selvaggia e l’individualismo esasperato dell’uomo senza Tradizione.

GF

1 Comment on LA MONARCHIA TRADIZIONALE

  1. L’ideale della monarchia tradizionale è il nemico per eccellenza del pensiero mondialista: Luigi XVI è solo il punto di partenza di un processo volto a scardinare le libertà degli individui, vale a dire le consuetudini e tradizioni comunitarie, per sostituirle con “l’uomo”; vale a dire un individuo privo di radici religiose innanzitutto, e poi culturali e quindi storiche. Storicamente il tipo umano così rappresentato ha sempre avuto un nome preciso: lo schiavo. Una persona sradicata dalla propria terra e dalla propria comunità, isolata in una massa d’individui diversi e quindi incompatibili od ostili culturalmente gli uni verso gli altri “il cosiddetto meltin pot questo è” che esiste unicamente come oggetto della catena di produzione per il benessere di pochi pescecani. La liberta di una persona si è sempre misurata sulla base della forza della propria comunita di appartenenza, l’individuo isolato è sempre stato visto come un nemico od un animale dai suoi stessi familiari “vedere i berserker della tradizione germanica”.

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