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Salva un inuit: spara a un ambientalista

Sì alla caccia a orsi, foche e Greenpeace

Che la caccia sia sbagliata in ogni sua forma hanno cercato di insegnarmelo Studio Aperto, Barbara D’Urso e il resto della truppa di tritacervello che ho incontrato durante la mia infanzia, eppure non sono mai riusciti a convincermi. Mi portavano argomenti validissimi per diventare un animalista all’acqua e sapone, come gli occhi dolci di qualche cerbiatto accompagnato da un violino strappalacrime, eppure io non riuscivo a vederci più che un animale. Da rispettare, ovviamente, ma pur sempre un animale. Tuttavia, l’idea di cacciare e uccidere specie a rischio, magari minacciate anche dal cambiamento climatico che è tuttora in atto impressionava, in parte, anche un sadico come me. Perciò, quando ho letto sul TIME di giugno che la caccia all’orso polare sembra sbagliata sono stato attirato dal verbo utilizzato, “sembrare”, riconoscendo all’interno del suo significato il mio pensiero ancora “in parte” spietato.

Ed Ou è un fotografo canadese che ha documentato per il mensile statunitense il suo viaggio nella regione inuit del proprio Paese. Qui il governo sottrae i figli a tale minoranza etnica per mandarli in scuole nelle quali viene proibito l’utilizzo della loro lingua o qualsivoglia espressione della loro cultura millenaria che annovera, tra le altre tradizioni, la caccia all’orso polare, “la loro ultima risorsa di sostentamento”. Per migliaia di anni, infatti, gli Inuit hanno cacciato razionalmente questi mammiferi da cui ricavavano pelli, cibo e combustibili senza minacciare l’esistenza della specie in alcun modo. La caccia all’orso è stata poi criminalizzata in ogni sua forma dal mondo occidentale, unico responsabile del surriscaldamento globale (che è una stronzata, NdR) e, quindi, della lenta estinzione degli orsi (che, invece, si estinguono perchè il loro cibo glielo ciuliamo noi, mica perchè vanno alla deriva sugli iceberg, NdR) . È bastato inventare la favola di centinaia di fantomatici bracconieri per non far ricadere la colpa sul resto del mondo. Distrutto il commercio degli Inuit, questo popolo si trova attualmente in uno stato di povertà assoluta, in cui il consumo di droga, l’alcolismo e i tassi di suicidio hanno valori
incredibilmente alti. Gli Inuit non possiedono occhi abbastanza dolci per poter essere aiutati a non estinguersi.

Qualcuno che non fosse uno sregolato del Talebano era finalmente d’accordo con me: il TIME, tra l’altro. Tutto ciò era stupefacente, ma lo era ancora di più il fatto che non fossimo solo Ed e io contro il resto del mondo. Tutto ciò aveva dell’incredibile.

Pierfrancesco Diliberto, in “arte” Pif, è il reporter del programma di Mtv Il Testimone nel quale documenta i propri viaggi in giro per il mondo alla scoperta di altre culture, tra cui anche quella groenlandese. Ad accompagnarlo per una parte del suo soggiorno c’è Robert Peroni, un sudtirolese trasferitosi in Groenlandia che afferma: “Io sono contro la caccia, ma non qui. Loro vanno a caccia per vivere, altrimenti morirebbero”. Pare infatti che da quelle parti la foca sia quasi come il maiale da noi: grassa, grossa, utilizzata al 100% e assolutamente non in via d’estinzione, poiché l’attività venatoria verso questo mammifero è sottoposta a regole ferree che tutti rispettano (infatti non conviene a nessun groenlandese distruggere il perno della propria economia). A tracciare l’unica differenza che sussiste tra foca e maiale ci pensa un groenlandese intervistato “la prima è libera” dice, “mentre quello che mangiate voi passa una vita in prigione. Dovrei essere io a dire che tutto ciò è orribile”. Eppure, dopo venticinque anni di martellamento da parte di Greenpeace “sono tutti contro la caccia alla foca, simbolo della libertà” continua Robert, “È scientificamente provato che anche il pesce soffre, ma nessuno dice niente perché tutti mangiano salmoni e trote, in più il pesce puzza e non fa gli occhi dolci”. Anche in Groenlandia l’economia è stata distrutta, l’Occidente ha deciso per tutti cosa fosse sbagliato e cosa corretto e una cultura di quattromila anni è stata quasi spazzata via. Attualmente tra i Groenlandesi la disoccupazione ha raggiunto percentuali altissime e l’alcolismo è un problema sociale molto preoccupante.

Ma come?! Possibile che un’associazione nobile come Greenpeace sia responsabile di tali danni? Beh, effettivamente pare che di nobile la suddetta associazione abbia ben poco e che sia piuttosto una multinazionale in cerca di potere e denaro. La gestione dei fondi dell’organizzazione non è mai stata trasparente ed è amministrata da più di 40 uffici in cui a decidere sono i maggiori donatori. Nel 1991, Der Spiegel scoprì che in Germania erano presenti numerose società controllate dall’associazione, in modo da pemetterle di mantenere lo status di organizzazione senza scopo di lucro e accedere alle esenzioni fiscali. Nel 1993, usciva un documentario scandalo in cui si sosteneva l’esistenza di conti correnti in cui venivano versati i soldi delle donazioni (300 milioni all’anno circa) accessibili soltanto ai maggiori esponenti di Greenpeace per poi essere utilizzati in operazioni finanziarie non chiare (poco tempo fa sono stati bruciati 3,8 milioni) o, addirittura, per pagare gruppi di eco-terroristi.

Se il pensiero comune antepone orsi e foche agli esseri umani, io li annovero tra le specie cacciabili
e ci aggiungo Greenpeace.

Luca Carbone

3 Comments on Salva un inuit: spara a un ambientalista

  1. Anacronista // 4 Dicembre 2014 a 22:44 // Rispondi

    Be’ ma tutti sanno che, nell’ideologia del politically correct, esistono animali con diritti (foche, cani, gatti, balene ecc.) e animali senza (tonni, polli, maiali, insetti ecc.) Allo stesso modo esistono popoli con diritti e popoli senza, genocidi da ricordare e genocidi da dimenticare e così via. Suvvia, basta consultare le tabelle!

  2. giancarlo d'aniello // 15 Aprile 2015 a 10:41 // Rispondi

    Il titolo dell’articolo è scorretto, sarebbe preferibile: Salva un unuit, spara a un animalista. Sono il coordinatore nazionale dell’ Associazione Italiana per la Wilderness Onlus che si batte per la tutela degli ultimi territori ancora inalterati. Come associazione ambientalista non abbiamo mai discriminato il mondo venatorio che invitiamo a darci una mano per salvaguardare quel poco di natura selvaggia ancora presente nel nostro Paese. Il nostro approccio conservazionistico è di tipo estremamente pratico: le attività umane compatibili con uno stile di vita arcaico o rurale e che non comportano un danno irreversibile per il territorio, sono compatibili con la nostra visione di conservazione della natura. Perciò si alla caccia (etica), alla pesca e alla raccolta dei prodotti del sottobosco anche in territori di grande valenza ambientale. Per approfondire visiti il sito http://www.wildernerness.it

    • Scusa, Giancarlo: esigenze (opportunità) di comunicazione.
      Purtroppo, dobbiamo confrontarci con la concezione che il pubblico ha del termine “ambientalismo” e con i titoli che si attribuiscono associazioni quali Greenpeace.

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