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Da oggi il divorzio sarà più facile. Ma l’amore, ancora più difficile

Divorzio breve e il ridimensionamento del valore dell’impegno

Blitz del governo Renzi che, in piena esaltazione post “vittoria”, si è fatto prendere dal decisionismo e ha dichiarato guerra ai tempi biblici della burocrazia e di ciò che le ruota attorno. Pensiamo ad esempio ai tempi di pagamento della pubblica amministrazione, o alla durata dei processi… per non parlare delle tempistiche di realizzazione delle opere pubbliche in Italia (la Salerno-Reggio Calabria è diventata una figura mitologica al pari dell’unicorno).

Ma no, non si tratta di questo. Il governo ha ridotto i termini per la concessione del divorzio. Roba urgente, insomma, che certamente farà felici un bel po’ di pseudo-coppie che così potranno finalmente liberarsi di mogli urlatrici o mariti football-addicted. Un provvedimento apparentemente innocuo o addirittura facilitatore, che però nasconde un approccio sociale/culturale da non sottovalutare per le sue conseguenze negative. Aspetto non secondario per uno Stato che vuol essere etico e non meramente burocratico.

La difesa della famiglia come nucleo portante di una comunità, infatti, passa non soltanto dalla messa in discussione del binomio uomo-donna attraverso la sua equiparazione ad altre combinazioni, ma anche dalla svalutazione dell’impegno e della responsabilità a favore di rapporti di coppia e sempre più slegati da vincoli sentimentali e dirottati verso le più comode emozioni. Si passa così dalla condivisione progettuale all’associazione temporanea. E’ quello che il sociologo Zygmunt Bauman definisce amore liquido (uno dei problemi della società contemporanea): un amore diviso tra il desiderio di emozioni e la paura del legame. Ovvero il ridimensionamento del valore dell’impegno, della parola data, di ciò che viene donato all’altro senza pretese di utili e tornaconti. Il dono come atto di amore. L’amore come atto di superamento dell’io egoista per un più nobile e trascendente noi comunitario, dove il vezzo personale è sacrificato in nome di un qualcosa di comune e più grande, infinito nella forma e nel tempo. Il matrimonio, nel suo significato più profondo, è il coronamento di tutto ciò: lo si affida a Dio, o per i laici a qualcosa di più grande della somma lui+lei. La coppia smette così di essere autoreferenziale diventando un mezzo per raggiunge uno scopo più alto. Le emozioni passano, i sentimenti vanno coltivati.

Il divorzio rappresenta il fallimento di quanto appena detto. Il tempo di “maturazione” del divorzio era simbolo del peso di una scelta difficile con conseguenze notevoli sulla vita delle persone, specialmente sugli eventuali figli. Un tempo lungo per farti provare tutta la sofferenza derivante da un errore che comunque hai commesso (perché se si vuole essere coppia non c’è più un Io o un Tu, ma solo un Noi) e che devi pagare. O al quale devi porre rimedio.

Così tutto diventa più facile, leggero e indolore. Dunque irresponsabile. Anche l’amore diventa una cosa a consumo, più che una pianta da coltivare. Il che si pone in perfetta linea con il percorso di disgregazione in atto: la perdita di responsabilità del singolo rispetto al proprio ruolo all’interno di una comunità, che si chiami famiglia, luogo di lavoro o patria.

Diceva un vecchio saggio: la soluzione non è rendere più facili i divorzi, ma più difficili i matrimoni.

Vincenzo Sofo

(tratto da http://www.lapadania.net)

2 Comments on Da oggi il divorzio sarà più facile. Ma l’amore, ancora più difficile

  1. Quelle sul divorzio, sull’aborto, sul matrimonio gay con susseguente possibilità di adozione, sulla fecondazione assistita, sul testamento biologico e il fine vita sono battaglie di retroguardia, che oggi non vale nemmeno la pena combattere se non per mera testimonianza e che come mostrano quasi tutti i paesi europei sono perse in partenza. Se qui in Italia determinati provvedimenti ritardano la loro entrata in vigore è solo perché da un lato si tenta di “tener buono” il Vaticano con la politica dei piccoli passi, e dall’altro abbiamo le genti del sud ancora ligie a consuetudini che faticano ad abbandonare.
    Per avere qualche possibilità di combinare qualcosa di sensato e vincere tali battaglie senza combatterle serve innanzitutto una rivoluzione culturale che faccia piazza pulita di tutti i paradigmi illuministi e modernisti, e riscopra principi di Verità sui quali basarsi per dedurre le norme che regolano la convivenza di una comunità.
    La visione sostanzialmente egualitaristica dell’umanità che ha condotto a società di tipo orizzontale con l’eliminazione di tutte le gerarchie naturali, insieme con l’adozione del meccanicismo cartesiano come chiave interpretativa del funzionamento degli enti non umani, sono sfociate in un modello sociale che esclude uno sviluppo comunitario che si dispiega dall’interno verso l’esterno partendo dal nucleo fondamentale, la famiglia, e crea successivamente aggregazioni sempre più ampie che sfociano nella polis, nella comunità, privilegiando la visione moderna, regolata da un contratto sociale stipulato fra eguali, in cui ogni aggregazione sarà legittima poichè la discriminante non è più il legame di sangue o quantomeno intellettuale, culturale, che caratterizza le comunità, ma la semplice sottoscrizione di un contratto e l’impegno a onorarlo.
    Se poi ci mettiamo che su quel contratto c’è scritto che ognuno può sostanzialmente fare quello che vuole e lo stato, garante della cosiddetta unità sociale, deve assicurare il diritto di ognuno a vivere la vita che crede più opportuna, si può vedere come è inevitabile il crearsi di una situazione come quella attuale di disgregazione, frammentazione e disfacimento.
    Ulteriore motivo del fallimento della famiglia e della dissoluzione dei rapporti sociali è l’imperante sentimentalismo che pervade l’umanità occidentale moderna, ove il matrimonio basato esclusivamente sull’amore (inteso come Eros), ovvero su di un sentimento fra i più aleatori, e svincolato da qualunque dovere e impegno sociale, non può che diventare poco più che un capriccio, che solo chi se lo può permettere si leverà quante più volte nel corso della vita, come si può ben vedere dal numero di matrimoni che le persone ricche e famose collezionano negli USA.
    Se prima non si riscopre lo spirito comunitario, i principi che lo ispirano e i metodi per ricostruirlo e svilupparlo ogni battaglia anche nel verso giusto che si combatterà sarà perduta, perchè mancherà della motivazione ideale che consente alla verità, che è sempre in minoranza, di imporsi e trionfare sull’immenso mare di menzogna che ci sommerge.

  2. Non sono d’accordo. La famiglia si difende innanzitutto facendone una associazione volontaria, civile e sociale, basata sulla ibertà e la responsabilità delle persone. L’idea di tenere insieme una famiglia con la forza, attraverso l’intervento statale, è una mostruosità, che fa della famiglia qualcosa di falso e che la asserve a scopi politici e piani statali. La famiglia è il nucleo portante di una comunità. Ma la comunità deve essere una comunità volontaria, e il suo nucleo deve essere una famiglia come unione volontaria. Stare insieme non deve essere nè una imposizione statale, nè una imposizione dovuta alla paura della riprovazione sociale per chi divorzia e si separa. Stare insieme è una scelta, bella, alta, nobile, difficile, e deve essere anche libera e responsabile, sincera e autentica, matura e onesta e non mantenuta con l’apporto di burocrati e magistrati. Lo stato deve tenere giù le mani. Obbligare un territorio che si volesse separare da uno Stato a restarvi è una abominevole violenza. Obbligare una persona che non volesse lavorare con un’altra a lavorarci è una abominevole violenza. Obbligare, del tutto o in parte, una persona a stare con un’altra contro la sua volontà è una abominevole violenza. Sempre lo stesso principio è in gioco: la comunità è formata da persone che hanno in comune qualcosa in cui si riconoscono, nel momento in cui sentono di non riconoscersi più in un rapporto hanno diritto di lasciarlo, per quanto possa essere una scelta triste e difficile. Vale per politica, lavoro, amicizia, famiglia, sesso, religione e quanto altro. Il divorzio è quasi sempre una scelta dura, triste, difficile, che non si fa a cuor leggero e senza motivo e a cui non si arriva in cinque minuti, ci vogliono spesso anni ed è molto amaro riconoscere il fallimento di una vita. Ma il percorso da compiere e il tempo da impiegare per fare le proprie scelte non deve essere scritto nelle scartoffie burocratiche, o disponbile agli umori politici. Non è nemmeno qualcosa da decidere a maggioranza, è qualcosa di personale. Abbiamo diritto di scegliere e dovere di portare la responsabilità delle conseguenze di queste scelte. Anche quando sbagliamo. La libertà non è un pranzo di gala. Personalmente valuto positivamente una cultura che cerca relazioni stabili e durature e non effimere e volitive, ma sono completamente contrario a qualsiasi intervento statale tanto per unire che per separare, tanto per forzare le cose in una direzione che nell’altra. Mi ha sempre fatto schifo che la legge imponesse un percorso lungo anni per il divorzio, il divorzio lo decidono le persone coinvolte senza intromissioni violente di terze parti.

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