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Il Selfie: ossia masturbarsi pensando a se stessi

Narcisismo e autoerotismo ai tempi di Instagram

Leggevo domenica su Repubblica – prima e ultima volta che compro un giornale che ospita la penna di Corrado Augias, promesso – la traduzione di un articolo a firma Rebecca Newberger Goldstein apparso sul New York Times di qualche giorno fa. Io, che sono sempre l’ultimo a sapere le cose, sono così venuto a conoscenza della nuova frontiera dell’onanismo occidentale: il selfie.

A esser sincero, già avevo sentito questa parola (vile albionismo di desinenza alemanna), ma nella mia fanciullesca ingenuità l’avevo associata ad una qualche sorta di giocattolo, come una volta sentivo di Barbie e Furby negli spot televisivi che su Italia1 interrompevano la mia visione de I segreti di Twin Peaks (che Bim Bum Bam schedulava immediatamente dopo Holly e Benji e che aveva fatto andare in fissa un me quattrenne per Audrey Horne, al secolo Sheryl Fenn). Invece no: il “selfie” non è altro che un autoscatto, in principio in voga tra le adolescenti che si fotografavano allo specchio per poi sovrapporre alla foto cuoricini, frasi sgrammaticate e altre troiate, ora esteso alla maggioranza dell’occidente “civilizzato”.

Io non mi reputo un uomo particolarmente superstizioso, ma ho rimosso tutti gli specchi da casa mia per paura che il mio alter-ego malvagio fuggisse dal Mondo Riflesso e si sostituisse a me mentre mi radevo, nè permetto mai che mi si fotografi perchè, si sa, le fotografie rubano l’anima. Quindi, capirete bene come milioni di quattordicenni che fotografano se stesse attraverso lo specchio dell’ascensore o della toilette mi facciano rabbrividire: un esercito di adolescenti malvagie e senz’anima venute direttamente dal Mondo Riflesso che impesta l’occidente cristiano.

Poi, purtroppo, la moda si è estesa agli esemplari umani di sesso maschile ed età differente. Al che non posso più liquidare la cosa come un fenomeno transitorio dell’adolescenza femminina, ma mi tocca cercare di penetrare più a fondo il mistero, onde trovare ragioni e finalità plausibili per questo deprecabile comportamento.

Metto da subito le mani avanti e specifico che la mia vita sociale non è mai stata esattamente “intensa”; tuttavia, quando ancora avevo delle relazioni al di fuori della mia torre d’avorio (aka la mia cameretta) e non avevo ancora rimosso lo specchio, solevo giudicare la mia immagine riflessa secondo alcuni rudimentali canoni estetici. Questo mi serviva per assicurarmi che il mio aspetto non fosse motivo di imbarazzo per la mia ragazza del momento (ebbene sì, ci sono stati dei grossolani tentativi di riproduzione e costituzione di un nucleo familiare). Allo stesso modo, le morose di turno erano solite truccarsi e abbinare vestiti e accessori in modo raffinato (i loro canoni estetici erano decisamente più restrittivi dei miei), al fine di dimostrarsi sempre all’altezza del contesto e di focalizzare l’attenzione di altri esemplari della nostra razza su di loro.
La vanità era sì presente, ma era l’anticamera della ricerca di un’armonia finalizzata alle relazioni interpersonali: magari un po’ subdolo e utilitarista, ma comunque nato dalla coscienza di sè e del proprio in der Welt sein. Adesso, invece, questa generazione figlia di parti incestuosi corre al cesso con l’iPhone in mano, fotografa il proprio alter ego malvagio, carica la foto sul pc, la fa passare per i magici strumenti di Photoshop Ribalta (così la scritta Abercrombie & Fitch si legge in tutto il suo splendore) e Piega (almeno le tette sono un po’ meno cadenti e i fianchi un po’ meno larghi) e poi carica su Facebook, Instagram, Twitter, Google+, ecc.

Già, perchè qui l’andazzo sembra portare a una delegittimazione del rapporto umano autentico, quello fatto di sguardi, odori, voci e strette di mano, per surrogare il tutto secondo una logica qwerty-made. E qui si inserisce Tinder, di cui ho scoperto l’esistenza il mese scorso sul Foglio: un servizio basato su Facebook che permette di trovare partner – sessuali – geograficamente vicini all’utente. Gli incontri sono vincolati dal reciproco apprezzamento delle immagini del profilo ed ecco un incentivo alla Piega di Photoshop. Niente più seduzione, niente più corteggiamento, niente aperitivi, cene, tramonti: solo selfie e sesso, che a breve, probabilmente, ricorderà il rapporto sessuale – incestuoso – di Sylvester Stallone e Sandra Bullock in Demolition Man. Ma fino ad allora…

Corro in ascensore a fotografarmi, poi mi iscrivo a Tinder.

Walter Quadrini

3 Comments on Il Selfie: ossia masturbarsi pensando a se stessi

  1. edoardo prinzivalli // 22 Ottobre 2018 a 18:25 // Rispondi

    Ma parla come mangi

  2. Sandro Pacifico // 21 Ottobre 2020 a 10:00 // Rispondi

    Certo la mania de selfie è un fenomeno “onanistico” ormai troppo diffuso, ma arrivare a eliminare gli specchi dalla propria abitazione mi sembra inutile, ‘ché se il signore non rimane chiuso nel suo eremo per sempre passerà pure davanti ad una vetrina e la triste realtà del suo volto – che sia triste lo dice Lui e non io – lo terrorizzerà. Anche se non ci specchiamo il nostro corpo decade ogni giorno ed il non vederlo non cambierà le cose

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