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Classicismi: il Morgante maggiore

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Sempre alla ricerca di nuove arti, alternative, perche’ a quanto pare il vecchio ha stancato, il classico non va di moda, a meno che non si tratti di citare la frase di Shakespeare su facebook o andare a visitare il Louvre per il gusto di dire di averlo visto che in realta’ non hai visto proprio nulla perche’ dopo aver fatto quattro ore e mezzo di fila arrivi a trenta persone dalla Gioconda, e ormai stanco alzi l’iPad con un braccio, con l’altro scatti la foto e racconterai di quel quadro senza sapere che la vendetta di Monna Lisa e’ vicina e che bastano pochissimi flash a farla sbriciolare come una foglia secca ai piedi della noncuranza.

Ma in fondo non siamo tutti cosi’. C’e’ chi ancora e’ in grado di amare e conoscere profondamente senza attaccarsi a fasulli aloni di mistero e altre pochezze attribuibili cosi’ facilmente ad ogni tipo di arte, dalla scrittura alla scultura, dal teatro alla musica. E se sei arrivato a questo punto della lettura ti svelero’ un segreto: anche tu, che sostieni di avere poco tempo ormai, da dedicare ai piaceri dell’arte, hai una gran voglia di osservare, conoscere, scoprire, imparare, un po’ come tornare sui banchi di scuola, in quelle ore di Letteratura Italiana ed Epica Classica che ti indossarono l’armatura e ti diedero l’ultimo bacio prima della battaglia in cui l’unico vero giudice fu Zeus Cronide, o quell’ora in cui Virgilio ti disse: ‘Volgiti! Che fai?’ mentre Farinata ti guardava, indifferente verso le fiamme dell’Inferno, ritto nel suo orgoglio ghibellino. Il piacere di scegliere se stare con i Cattolici o con i Protestanti, se stare con Thomas Hobbes o John Locke, con gli Ateniesi o gli Spartani. Scoprire che l’uovo di struzzo appeso appena sopra la testa della Madonna nella Sacra Conversazione di Piero della Francesca rappresenta, oltre che l’Immacolata Concezione, anche la casata dei Montefeltro (appunto, il committente dell’opera) o forse e’ una perla, generata dalla conchiglia stessa incastonata nel soffitto, ma perche’ fermarci qui quando notiamo che nessuna ombra dell’uovo/perla e’ stata proiettata sulla parete, sebbene l’oggetto sia direttamente colpito dalla luce. Puo’ forse Piero, che ha dedicato un’intera vita alle regole di proiezione geometrica e di prospettiva, lasciarsi sfuggire un particolare del genere…(?)

di Giulia De Bona

Luigi Pulci, Morgante maggiore

Un’opera coraggiosa quella di Luigi Pulci (nato nel 1432 nella Firenze del Burchiello e dei Medici), che emerge in tutta la sua tradizione volgare, sciolta, spregiudicata e perfettamente contrapposta all’umanesimo alto ed erudito. Il Pulci si dimostra in grado di dare il meglio di se’ in quanto a realta’ e dinamica, prontezza ed incredibilta’ di gesti e situazioni. Ecco che nasce (a fianco al gia’ esistente Morgante) Margutte: esuberante, violento, primitivo, irrazionale, vorace, capace di atti ignobili oltre che astuti. Senza mai provare il minimo senso di vergogna, rovescia parodisticamente gli elevati ideali cavallereschi. “Lo spettacolo del mondo – scrive Ferroni – consiste tutto nel ripetersi di movimenti meccanici, come in un caos vorticoso. La violenza degli eroi che disintegra i corpi degli uccisi rende il mondo simile a una enorme macelleria, dove la materia organica viene schiacciata, tagliata, manipolata. Con perverso divertimento Pulci insiste a descrivere scene di battaglia con immagini legate al cibo: tutto diventa commestibile, pasta e trippa, vino e sangue, farina e cervella. […] un mondo selvaggio, non definibile in termini umani, e segrete presenze magiche e demoniache.” Questa vena dissacratoria, si legge come una delle cause dell’allontanamento dello stesso Pulci dall’ambiente mediceo, che non si adeguava piu’ allo stile dell’autore, ricercando e orientandosi sempre piu’ verso la cultura rinascimentale.

Morgante e Margutte, saranno protagonisti di iperboliche imprese, financo esilaranti, fino alla loro morte, bizzarra quanto loro: il primo morira’ per il morso di un piccolo granchio, il secondo morira’ scoppiando dal ridere.

La professione di fede di Margutte [XVIII, 112-120]

112. Giunto Morgante un dì in su ’n un crocicchio,
uscito d’una valle in un gran bosco,
vide venir di lungi, per ispicchio,
un uom che in volto parea tutto fosco.
Dètte del capo del battaglio un picchio
in terra, e disse: «Costui non conosco»;
e posesi a sedere in su ’n un sasso,
tanto che questo capitòe al passo.

114. Morgante guata le sue membra tutte
più e più volte dal capo alle piante,
che gli pareano strane, orride e brutte:
– Dimmi il tuo nome, – dicea – vïandante. –
Colui rispose: – Il mio nome è Margutte;
ed ebbi voglia anco io d’esser gigante,
poi mi penti’ quando al mezzo fu’ giunto:
vedi che sette braccia sono appunto. –

115. Disse Morgante: – Tu sia il ben venuto:
ecco ch’io arò pure un fiaschetto allato,
che da due giorni in qua non ho beuto;
e se con meco sarai accompagnato,
io ti farò a camin quel che è dovuto.
Dimmi più oltre: io non t’ho domandato
se se’ cristiano o se se’ saracino,
o se tu credi in Cristo o in Apollino. –

115. Rispose allor Margutte: – A dirtel tosto,
io non credo più al nero ch’a l’azzurro,
ma nel cappone, o lesso o vuogli arrosto;
e credo alcuna volta anco nel burro,
nella cervogia, e quando io n’ho, nel mosto,
e molto più nell’aspro che il mangurro;
ma sopra tutto nel buon vino ho fede,
e credo che sia salvo chi gli crede;

116. e credo nella torta e nel tortello:
l’uno è la madre e l’altro è il suo figliuolo;
e ’l vero paternostro è il fegatello,
e posson esser tre, due ed un solo,
e diriva dal fegato almen quello.
E perch’io vorrei ber con un ghiacciuolo,
se Macometto il mosto vieta e biasima,
credo che sia il sogno o la fantasima;

117. ed Apollin debbe essere il farnetico,
e Trivigante forse la tregenda.
La fede è fatta come fa il solletico:
per discrezion mi credo che tu intenda.
Or tu potresti dir ch’io fussi eretico:
acciò che invan parola non ci spenda,
vedrai che la mia schiatta non traligna
e ch’io non son terren da porvi vigna.

118. Questa fede è come l’uom se l’arreca.
Vuoi tu veder che fede sia la mia?,
che nato son d’una monaca greca
e d’un papasso in Bursia, là in Turchia.
E nel principio sonar la ribeca
mi dilettai, perch’avea fantasia
cantar di Troia e d’Ettore e d’Achille,
non una volta già, ma mille e mille.

119. Poi che m’increbbe il sonar la chitarra,
io cominciai a portar l’arco e ’l turcasso.
Un dì ch’io fe’ nella moschea poi sciarra,
e ch’io v’uccisi il mio vecchio papasso,
mi posi allato questa scimitarra
e cominciai pel mondo andare a spasso;
e per compagni ne menai con meco
tutti i peccati o di turco o di greco;

120. anzi quanti ne son giù nello inferno:
io n’ho settanta e sette de’ mortali,
che non mi lascian mai la state o ’l verno;
pensa quanti io n’ho poi de’ venïali!
Non credo, se durassi il mondo etterno,
si potessi commetter tanti mali
quanti ho commessi io solo alla mia vita;
ed ho per alfabeto ogni partita.

 
112, 1 in su 'n un: Cumulo irrazionale di preposizioni frequente nel Pulci.
113, 5 Margutte: "e' il nome dato comunemente nel Medio Evo ai saracini o quintane, cioe' ai fantocci di legno, rappresentanti guerrieri in grandezza naturale, contro cui spezzavan la lancia i cavalieri nelle giostre" (Ageno). "Meno sicuro che muova da marabutto 'santone musulmano' [...] trasportato a designare un pupo siciliano" (Contini).
114, 2-3 ecco... beuto: "Margutte a lato a Morgante parra' un fiaschetto appeso al fianco di un uomo normale" (Ageno); il verso seguente poi "continua scherzosamente la metafora", insinuando che Morgante potra' bersi il contenuto di quel che ha definito fiaschetto.
114, 8 Apollino: si tratta di una presunta divinita' dei musulmani (il nome deriva dal dio greco Apollo) costituente con Macometto (Maometto) e Trivigante una triade opposta nella credenza popolare alla Trinita' cristiana.
115, 6 e molto... mangurro: "giuoco di parole fra aspro, vino, e aspro, moneta turca d'argento [...]: Margutte crede nel mosto aspro piu' che il mangurro (che e' una moneta turca di rame di poco valore [...]) non creda nell'aspro, moneta d'argento (in quanto ne e' una parte)" (Ageno).
116, 1 e credo: "Comincia l'empia parodia del Credo, e in particolare dell'Incarnazione e dell'Unita' e Trinita'" (Contini). forse un sottinteso empio anche nella scelta di torta, tortello e fegatello come trinita' alimentare in quanto di improbabile parentela.
116, 5 e diriva... quello: Quasi un nonsense, che pero' contibuisce a sottolineare l'eterogeneita' dei cibi.
116-117, 7-8;1-2 se Macometto... la tregenda: Margutte afferma di non credere in loro, neppure alla loro esistenza in quanto, sostenendo la proibizione dell'alcol, non possono che essere mostri dell'immaginazione.
117, 3 La fede... solletico: come c'e' chi soffre e chi non soffre il solletico, cosi' c'e' chi ha e chi non ha fede: non c'e' nulla da fare, vuole dire Margutte.

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