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Benigni, buffoni di corte e autoerotismo costituzionale

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Ai tempi dell’ancien régime, vi era una figura molto in voga tra governanti: era il buffone di corte, un artista di medio livello culturale che campava prestando la propria arte alla corte di riferimento, cantando lodi al padrone in cambio di denari, favori o protezioni. Ai governanti faceva certo comodo, poichè li dilettava, ne alimentava l’autostima (fondamentale per ogni carattere egocentrico), nonchè favoriva la diffusione di storie e news opportunamente lucidate a favore del committente.

Finito l’ancien régime, sono rimasti però i governanti con i loro giullari. Come abbiamo potuto constatare dallo show consumatosi ieri, sulla Rai: Roberto Benigni (il giullare) ad interpretare la Costituzione su commissione dei governanti. Il risultato è stato un pietoso tentativo di forzare ogni articolo della Costituzione in chiave enfatica, mitologica, poetica… per cui i padri costituenti sono diventati non più dei politici in procinto di scrivere delle regole, ma degli eroi salvatori del mondo. Come ogni cosa che vien forzata (perchè non naturale), lo show di Benigni è scaduto spesso e volentieri nel kitsch, lasciandosi andare a mistificazioni, omissioni, leccate di culo e banalità stucchevoli persino agli occhi dell’ignorante.

L’errore di fondo nasce dal voler forzatamente considerare la Costituzione come un valore di per sè, e non come uno strumento da giudicare sulla base dei presupposti da cui parte e dei risultati che ottiene. Questo è un approccio che si tende ormai ad utilizzare dappertutto, proprio per compensare la carenza di un’identità naturale (a breve, c’è da scommetterci, anche l’Ipad diventerà un valore). Gli sforzi compiuti dal comico-showman per liberare gli “uaò!”, “che spettacolo!”, “quanto erano bravi!”, hanno fatto però si che lo stesso si dimenticasse di sottolineare come molti degli articoli elogiati fossero purtroppo completamente dimenticati o disattesi.

In pratica, per una serata che doveva essere culturale, non una parola sui contenuti: a parte le cavolate dette sul lavoro (tema sul quale torneremo con articolo specifico) e sulla bandiera (tema da noi già affrontato con il documento “Il tricolore – storia di una bandiera in crisi d’identità“), abbiamo sentito citare la tutela delle minoranze linguistiche solo per sfottere Di Pietro, ma non per parlare dell’importanza dei dialetti e delle numerose tradizioni locali che l’Italia contiene. Abbiamo sentito parlare di guerra per ascoltare la farsa sul sogno dell’Unione Europea, ma nulla sulla politica neocolonialista della stessa Europa che ogni anno ammazza e riduce alla fame migliaia di donne e bambini in giro per il mondo (Benigni pare rientrare tra gli stolti che premiano l’UE con il Nobel per la Pace). Nulla sulle politiche dei governanti che si dirigono verso lo smantellamento dei diritti tanto sbandierati dalla Costituzione (che fine hanno fatto i concetti – lì riportati – di giusto salario, utilità sociale, collaborazione alla gestione delle aziende?). E via dicendo, fino ad arrivare all’iniziale sproloquio di basso livello su Berlusconi – il cui ritorno ha come unico effetto positivo il fatto di ridare ai Benigni e alle Litizzetto di che mangiare.

Ma ciò che più di ogni altra cosa mette tristezza e toglie speranze, è il successo che Benigni ha riscosso tra il pubblico, ovvero la popolazione… e qui bisogna dare un merito al comico: perchè, ancora una volta, ha sottolineato come il vero problema dell’Italia sia l’ignoranza e l’incapacità di riflettere del suo popolo, a cui bastano due battute e qualche pop corn per venir totalmente anestetizzati… e scambiare per cultura ciò che è mera retorica su commissione. Non è un caso che gli italiani siano quelli che meno leggono e si informano in Europa… non è un caso che siano quelli del Francia o Spagna purchè si magna.

 

 

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