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Per una viabilità di buon senso…

Di barbara Leva

Non esiste un film americano che non includa la classica scena: un fitto bosco di alberi secolari tagliato in due da una strada curvilinea, percorsa da un’automobile guidata dal bell’attore del momento. Le vicende in soggetto sono spesso ambientate nei quartieri residenziali, consistenti in villette monofamiliari situate l’una accanto all’altra, le une dirimpetto alle altre; nel mezzo giardinetti, piste ciclabili e marciapiedi, una strada solcata dalle automobili che quando ferme trovano riposo in appositi garage. Tutto ordinato. Ma non è solo un movie, è la solida realtà delle città nuove, nate secondo standard urbanistici e architettonici plasmati sull’industria e il principio dell’ordine sociale che presuppone, e dovrebbe supporre, un solido sistema capitalista. Ossia, il downtown o la city, centro che accoglie gli uffici burocratici. Attorno i quartieri residenziali, più fuori i ghetti, e fuori ancora più fuori le industrie. All’incirca va così: un sistema gerarchico e ben strutturato, fasce diverse di appartenenza e funzione da distinguersi anche sul piano fisico, urbanisitco quindi. Ne consegue che per spostarsi da una zona all’altra l’automobile sia necessaria. Non è un caso infatti che questo tipo di distribuzione urbana si afferma, dal punto di vista prima teorico e poi pratico, a seguito della diffusione dell’automobile nella società del Novecento, andando a sostituire, nelle progettazioni a venire, le griglie spagnole e la concentricità romana. Il primo modello è tipicamente sudamericano e del primo nordamerica, il secondo un classico europeo. Veniamo a noi: le nostre città, le città storiche, disseminate su tutto il territorio d’Europa si strutturano sui primi basamenti romani, a loro volta incentrati su cardo e decumano, presentano il foro al centro, il mercato facilmente raggiungibile, i teatri e il circo un po’ più in là. Modello che viene ricalcato dalle città medievali e poi del Rinascimento e diventa tipico nostrano: le istituzioni e i luoghi della pubblica utilità al centro e attorno le zone residenziali. Non troppo distante dal modello novecentista, pervero, se non per un unico piccolo dettaglio: i fruitori della pubblica utilità si spostavano con i mezzi a disposizione: carri con cavalli, asini, ma principalmente le gambe. Le gambe: l’unica ragione per cui le nostre strade sono strette, buie e quindi umide, mancano serie strade a misura d’auto e di parcheggio. Si nota solo nelle periferie, più moderne, una struttura urbanistica a misura di tecnologia. Circa le città stato qualche intervento di ingrandimento dei centri, Milano ha visto ad esempio la creazione del Foro Buonaparte, di Piazza del Duomo, di largo Missori. Firenze e Praga sono ugualmente strette ed impercorribili. Il dato storico è l’unica ragione per cui è difficile conciliare la modernità e la vera configurazione delle città. Si blateri per quel che si vuole, o si abbattono i centri storici, o si pensa a un modo alternativo per gestire la mobilità cittadina.

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