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De rerum natura

Di Barbara Leva

> Nell’ultimo anno, in Italia abbiamo assistito all’allagamento del
> Veneto, di Roma, della Liguria. All’estero, dicono ci sia stato un
> maremoto in Giappone, un terremoto in Turchia, il classico uragano
> negli Stati Uniti. Le solite frane e valanghe, non vale neanche più la
> pena di menzionarle.
> Mentre volontari e militari tentano di limitare i danni della natura,
> le popolazioni sfollate si trovano private di tutto, migliaia di
> persone restano incollate agli schermi su cui si proiettano i funerali
> di qualche ragazzotto famoso, se va bene ed escono di casa è invece
> per litigarsi l’ultimo modello di cellulare. Perché crisi economica e
> disoccupazione non devono intaccare la dignità del possedere.
> L’avere, sempre di più, cose sempre più inutili che vengono percepite
> come sempre più necessarie, ha portato l’isolamento in un mondo
> parallelo e virtuale. Il mondo dell’avere.
> Basta guardare le fotografie dei salotti di una qualsiasi coppia di
> sposini degli anni ’80. Un divano recuperato e ricoperto da un
> lenzuolo smorto, pareti bianche e pochi mobili, in attesa di potersi
> sistemare e permettere di più. C’era un unico tavolo, magari
> scheggiato, su cui consumare frugali pasti tutti insieme. Ora ogni
> qualsiasi single pretende il loft, il plasma, le pareti ben pitturate
> e mobilio da catalogo. Non importa se poi è sempre fuori a cena,
> dopocena, nel precena, quel che importa è che tutto sia perfettamente
> pronto a dimostrare l’appartenenza al mondo del essere perché si ha.
> Questo senso dell’essere perché si ha è spinto oggi così all’estremo
> che l’imprenditore che sfrutta i cinesi per creare un mondo parallelo
> si è visto venire prima delle donne in condizioni di sfruttamento, e
> anche la distruzione di interi paesi viene in secondo piano dopo
> l’eroe dello sport più moderno che ci sia. Se potevamo quindi sperare
> in una catastrofe naturale per ricongiungerci alla Madre Terra, bene,
> ora sappiamo che tutti gli avvertimenti sono vani, e non ci resta che
> soccombere sotto il peso della nostra stupidità.

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