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In Francia si mangia francese

di Andrea Carbone

Di questi giorni la notizia di una riforma del sistema delle mense scolastiche in Francia, orientato a eliminare un apporto calorico elevato e, soprattutto, una deviazione dai tipici cibi nazionali frutto di una fastfood-izzazione del vecchio continente. I fanciulli delle ecoles insomma sarebbero sempre più orientati verso pasti artificiosissimi e pantaloni più grandi: problema di rilevanza tale da preoccupare il Ministro dell’Istruzione. In parole povere: riempirsi di ketchup a scuola non fa bene né al corpo né al patriottismo. Così dopo più di tre secoli scopriamo che forse il sang impur della Marsigliese, quello che doveva innaffiare i campi liberati dalla Rivoluzione, era forse solo salsa di pomodoro.

Questa la punta di diamante di una riforma mirata verso il ritorno al consumo nelle scuole transalpine di pasti a chilometri zero, e di menù sempre più simili a quelli che si vedevano offrire i nonni dei bambini in questione. Ritorno ad un Medioevo di malnutrizione? Neanche per scherzo, solo: sane abitudini. Del resto per dire che una baguette col brie o il roquefort sia più salutare di un hamburger mal preparato da 450 calorie non ci vuole un nutrizionista. Sarkò è serafico, Ronald Mc Donald s’è tolto quel sorriso ebete dalla faccia, ed ora sembra It.

Perché non spingere di più anche nelle nostre scuole sull’educazione alimentare? Otterremmo risparmi sotto tutti i punti di vista: risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale, che avrebbe meno cardiopatici da seguire, per le nostre scuole, che potrebbero vedere accorciata la filiera, e perfino di tempo per i genitori, che preparerebbero una bella pasta invece che cedere alle lagne per una salsa di misteriosa provenienza.

Nelle piccole scelte di ogni giorno pensiamo a quello che compriamo: aiuteremo l’ambiente a essere meno inquinato, noi stessi e i nostri figli a essere più in forma, l’Italia a crescere. Due considerazioni finali, Uno: quasi ridicolo che si debba pensare a difendere il proprio patrimonio gastronomico, ma nel 2011 forse è anche poco; Due: dobbiamo farlo anche noi.
È proprio la globalizzazione, anche alimentare, a crescere in seno la volontà di territorialismo. Bon appétit!

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